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Dopo il primo turno

   Quali insegnamenti trae dal primo turno dell'elezione presidenziale? In che cosa differisce da tutte quelle che l'hanno preceduta?     Il dato capitale di questa elezione, ...

Quali insegnamenti trae dal primo turno dell'elezione presidenziale? In che cosa differisce da tutte quelle che l'hanno preceduta?


Il dato capitale di questa elezione, quello che le conferisce un vero carattere storico, non è né il fenomeno Macron né la presenza di Marine Le Pen al secondo turno. È la rotta totale dei due ex grandi partiti di governo, il Ps e Les Républicains. Lo avevo lasciato prevedere su queste colonne lo scorso febbraio, in un momento in cui nessuno pareva accorgersene: per la prima volta da quando il capo dello Stato è eletto al suffragio universale, nessuno dei due partiti che da quasi mezzo secolo hanno governato la Francia in alternanza sarà presente al secondo turno. In passato, questi due partiti non avevano mai rappresentato, da soli, meno del 45% dei suffragi (il 57% nel 2007, il 55,8% nel 2012). Oggi ne rappresentano insieme appena un quarto (Fillon 19%, Hamon 6%), meno di Sarkozy nel 2007 o di Hollande nel 2012. Entrambi si ritrovano nello stato di un campo di rovine e ai margini dell'implosione. La loro decomposizione segna la fine della Quinta Repubblica così come la abbiamo conosciuta. Sono i grandi perdenti dello scrutinio. Questo fulmine senza precedenti non deve però sorprendere, perché è perfettamente conforme allo schema populista. In tutti i paesi in cui il populismo segna dei punti, sono i partiti che rappresentano la vecchia classe dirigente a soffrirne maggiormente. Lo si è visto in Grecia, in Spagna, in Austria ed altrove. Adesso è il momento della Francia. E certamente non è che un inizio, perché senza dubbio ora ci dirigeremo verso un periodo di instabilità, di crisi istituzionale e di grande confusione.

 

È la fine del sistema tradizionale destra-sinistra che conosciamo da decenni?

I vecchi partiti di governo erano altresì quelli che sostenevano il vecchio spartiacque destra-sinistra. Allora il cursore si spostava su un piano orizzontale, cosa che ha stancato un certo numero di elettori che non vedono più con chiarezza cosa distingue la destra dalla sinistra. Macron e Marine Le Pen hanno in comune il fatto di navigare su questa stanchezza nei confronti del “Sistema”. Ripeto ciò che ho già detto molte volte: al vecchio asse orizzontale corrispondente alla frattura destra-sinistra si sostituisce ormai un asse verticale che oppone chi sta in alto a chi sta in basso. Il popolo contro le élites, la gente contro i potenti. Naturalmente, si può voler conservare ad ogni costo la coppia destra-sinistra, ma allora occorre constatare che gli strati popolari sono sempre più a destra, mentre la borghesia è sempre più a sinistra, il che già costituisce una rivoluzione.

 

I risultati sembrano anche confermare la frattura tra le metropoli e la “Francia periferica”, ma anche tra la Francia che conta meno immigrati, che vota Macron, e quella che ne conta di più, che vota Le Pen. Che ne pensa?

Penso in effetti che lo spartiacque Macron-Le Pen si sovrapponga in larga misura alla contrapposizione tra la “Francia periferica”, quella degli strati popolari umiliati, trascurati, che si ritengono a buon diritto vittime di un'esclusione al contempo politica, sociale e culturale, e quella delle metropoli urbanizzate in cui vivono gli impiegati superiori e i dirigenti, i borghesi-bohémiens, le classi possidenti e la borghesia intellettuale integrata, che approfittano della globalizzazione ed aspirano ad una sempre maggiore “apertura”. Da una parte la Francia che si guadagna bene la vita, dall'altra quella che soffre e si inquieta. Ma questa contrapposizione spaziale, particolarmente ben esplorata da Christophe Guilluy, ha anche (e soprattutto) il significato di una contrapposizione di classe. A questo proposito condivido l'opinione non solo di Guilluy, ma anche di Mathieu Slama, secondo cui “la lotta di classe risorge politicamente grazie ad un duello di secondo turno che oppone il liberale Emmanuel Macron alla sovranista Marine Le Pen”, e “Dietro questa lotta di classe si nasconde uno scontro tra due visioni del mondo: la visione liberale e universalista, che non crede né nello Stato né nella nazione, e la visione che oggi viene chiamata populista oppure sovranista, che vuole restaurare lo Stato, le frontiere e il senso della comunità dinanzi ai disastri della globalizzazione”. L'errore simmetrico della destra e della sinistra classiche è sempre consistito nel credere che la politica potesse sottrarsi alle questioni di classe – la destra per allergia al socialismo e al marxismo, la sinistra perché crede che la classe operaia sia scomparsa e perché il popolo non la interessa più.

 

Che cosa rappresenta Macron?

La morfopsicologia già ci dice che Emmanuel Macron è una cosuccia caratteriale, manipolabile e incapace di decidere. Diciamo che è un algoritmo, un'immagine di sintesi, un miliardario sbucato fuori dalle fictions televisive, un pifferaio programmato per condurre tirandoli per il naso “quelli-e-quelle” che non riescono a vedere al di là della punta di quel naso. È il candidato della Casta, il candidato dei dominanti e dei potenti. È un liberale-libertario che concepisce la Francia come una “start-up” e non sogna altro che l'abolizione delle frontiere e dei limiti, delle storie e delle filiazioni. È l'uomo della globalizzazione, l'uomo dei flussi migratori, l'uomo della precarietà universale. Il capofila dei “progressisti” in opposizione a coloro che non credono più al progresso perché hanno constatato che esso non migliora più, ma al contrario rende più oscuro la loro ordinaria quotidianità. In passato, il mondo degli affari sosteneva il candidato che riteneva più adeguato a difendere i suoi interessi (all'inizio di questa campagna, Alain Juppé). Questa volta ha ritenuto più semplice presentarne direttamente uno. Aude Lancelin non ha torto, da questo punto di vista, quando parla di un “golpe del CAC 40” [il listino dei maggiori titoli della borsa francese]

 

E la sconfitta di Jean-Luc Mélenchon?

Sconfitta del tutto relativa! Oratore senza pari, tribuno davvero ispirato, Jean-Luc Mélenchon è colui che, nella forma e nella sostanza, ha fatto la migliore campagna elettorale. Nello spazio di poche settimane, ha rimontato nei sondaggi più di ogni altro candidato, spappolando di passaggio il puffo del Ps, arrivando praticamente al livello di Fillon e raddoppiando il risultato ottenuto nel 2012. Cosa ancora più importante, questa elezione presidenziale gli ha dato la possibilità di incarnare un populismo di sinistra che, prima di lui, esisteva solo allo stato di abbozzo. Lei avrà forse notato che ha iniziato a salire nei sondaggi a partire dal momento in cui non ha più parlato della “sinistra” nei suoi discorsi, ma soltanto del “popolo”. È un dettaglio rivelatore. Si aggiunga a ciò che, contrariamente a Hamon o Duflot [leader dei Verdi], ha avuto il coraggio di non fare appelli a votare per Macron. Personalmente, mi dispiace molto che non sia presente al secondo turno.

 

Marine Le Pen ha ancora probabilità di vincere? Quali devono essere gli assi principali della sua campagna? Dove si trova il suo serbatoio di voti di riserva?

Le sue chances al secondo torno sono a priori piuttosto deboli, dato che tutti i sondaggi la danno battuta. I suoi principali concorrenti, a partire da François Fillon (cosa che non manca di pepe) hanno fatto appello a votare per Emmanuel Macron, ma resta da sapere se le loro indicazioni saranno seguite. I riporti di voti non sono mai automatici. Oltre agli astensionisti, Marine Le Pen può sperare di raccogliere almeno un terzo dei voti di Fillon, più della metà di quelli di Dupont-Aignan, forse un 10%-15% dei voti di Mélenchon, ma dubito che ciò gli consenta di raggiungere la vittoria. Il risultato del secondo turno dovrebbe fissarsi a 60/40, o a 55/45 nel migliore dei casi. Ciò detto, con il 21,4% dei voti (contro il 17,9% del 2012), Marine Le Pen segna dei punti pesanti, non solo perché accede al secondo turno, ma anche perché raccoglie quasi otto milioni di suffragi (il doppio di suo padre nel 2002), contro i soli sei milioni delle ultime elezioni regionali. Il dato più importante è che surclassa il Ps e Les Républicains, il che pone il Fn nella posizione di principale forza di opposizione di fronte alla futura coalizione “progressista” di Macron. Diciamo comunque che la sua campagna è stata piuttosto altalenante. Non abbastanza lirismo, non abbastanza emozione: sa farsi applaudire ma non sa far vibrare. Nel suo clip di campagna, del resto, il popolo era assente. La sua sola possibilità di vincere è legata alla capacità di far capire alla maggioranza dei francesi che il secondo turno non sarà un voto pro o contro il Front national, ma un referendum pro o contro la globalizzazione. Bisognerebbe inoltre che fosse in grado di convincere in primo luogo gli elettori di sinistra che sarebbe insensato, da parte loro, offrire il proprio sostegno all'uomo della macelleria sociale e della legge El Khomri [più nota come Loi Travail], della dittatura degli azionisti e dell'onnipotenza dei mercati finanziari, al portavoce del Capitale per il quale la politica non è altro che uno strumento da mettere al servizio degli interessi privati.

 

È sorpreso della debole mobilitazione di piazza contro Marine Le Pen, contrariamente a quanto si era visto nel 2002?

Non ne sono affatto sorpreso. L'elezione del 2002 non ha alcun rapporto con quella che abbiamo appena vissuto. Solo i dinosauri e gli “antifa” non si rendono conto che abbiamo cambiato epoca.

 

Un'osservazione conclusiva?

Se uno sceneggiatore avesse scritto anticipatamente la storia di questa campagna elettorale così come si è effettivamente svolta, nessun regista avrebbe ritenuto la sua sceneggiatura credibile. Ed infatti ha smentito tutti i pronostici. François Hollande ha sognato per anni di sollecitare un secondo mandato, ma alla fine ha dovuto rinunciarvi. Lo si dava per un fine manovratore, ma ha perso il controllo del suo stesso partito. La destra riteneva che questa elezione fosse “imperdibile”, eppure l'ha persa. Si riteneva che le primarie rafforzassero il potere dei partiti e consacrassero coloro che erano messi meglio per vincere (Sarkozy o Juppé, Valls o Montebourg), e invece li hanno definitivamente indeboliti e hanno selezionato solo degli “outsiders” che non hanno brillato. Quanto al fenomeno Macron, nessuno lo immaginava possibile ancora un anno fa. Ciò dimostra che in politica niente è mai giocato in anticipo. La storia è sempre aperta.

(Breizh-info.com, 25 aprile 2017)

 





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Data pubblicazione: 4 maggio 2017

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