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Fascismo teorie e giudizi

 A. James Gregor, Il fascismo Interpretazioni e giudizi, Antonio Pellicani Editore, Roma, 1997, pp. 338, lire 30.000    La seconda edizione italiana di ...

A. James Gregor, Il fascismo Interpretazioni e giudizi, Antonio Pellicani Editore, Roma, 1997, pp. 338, lire 30.000

La seconda edizione italiana di quest'importante saggio del politologo americano A. James Gregor - comparsa in apertura di una nuova collana di testi, "Fascismo/fascismi", diretta da Alessandro Campi - segna una tappa importante negli studi sul fascismo. I motivi d'interesse di quest'iniziativa editoriale sono molteplici: da un lato, essa ripropone al pubblico italiano, con alcuni importanti aggiornamenti riferiti alla più recente letteratura internazionale sul fascismo, i risultati delle ricerche del politologo statunitense (la prima edizione italiana di questo libro, apparso negli Stati Uniti nel 1974, risale al 1976, per i tipi dell'editore Volpe); dall'altro consente di approfondire la discussione sulle differenze di approccio e di metodo tra le scienze sociali e la storiografia relativamente alla complessa problematica del fascismo e delle sue possibili interpretazioni.

Proprio nella scelta metodologica consiste la più importante peculiarità dell'opera di Gregor, che si basa sulla comparazione di dati di natura macrostorica e sulla ricerca di generalizzazioni concettuali che consentano di elaborare un'interpretazione complessiva del fenomeno fascista in tutte le sue svariate articolazioni geografiche e temporali.

Tale impostazione comporta, da parte dell'autore, una preventiva presa di distanza rispetto al metodo storico tradizionalmente impiegato nello studio del fascismo, metodo che consente a suo giudizio soltanto la comprensione e l'analisi di un insieme di fatti storici delimitato nel tempo e nello spazio e l'impossibilità di accedere ad una prospettiva comparativa. Beninteso, se il sociologo non può prescindere nelle sue generalizzazioni dai dati fornitigli dalla storiografia, lo storico a sua volta deve utilizzare necessariamente nelle sue ricostruzioni fattuali (per quanto spesso lo faccia solo in maniera non consapevole) i criteri e le categorie d'analisi che derivano dalle teorie sociologiche.

Alla luce di questa disputa metodologica - i cui esatti contorni si trovano ben riassunti nel "Dibattito sulla natura del fascismo", dialogo a tre voci posto in appendice al volume (pp. 291-309) e che vede a confronto l'interpretazione transpolitica di Del Noce, la visione generalizzante di Gregor e quella nominalistica di De Felice - nel libro Gregor analizza e cataloga i sei più importanti tentativi d'interpretazione generale del fascismo operati nelle scienze sociali. A tale scopo, lo studioso americano utilizza come riferimento storico, come paradigma di quello che viene definito nella letteratura di lingua inglese il "fascismo generico", l'esperienza del fascismo italiano..

Su queste basi, Gregor confuta agevolmente, dimostrandone l'insufficienza e l'unilateralità, la concezione per la quale il fascismo fu il prodotto di una crisi morale che, cagionata dallo scoppio della prima guerra mondiale, aveva travolto le precedenti strutture liberali dell'Europa occidentale. Interessante è inoltre il confronto operato a tal proposito tra le idee degli esponenti più importanti di quest'interpretazione (Croce, Drucker, Kohn, Von Mises, Einaudi) e le analoghe tesi di autori filofascisti (Gentile, Grandi, Spirito) che, muovendo dalle stesse premesse dei primi, giungevano all'opposta conclusione e consideravano quindi il fascismo non il prodotto, ma il rimedio della crisi morale dell'Italia dell'epoca.

Molto decisa è la critica che Gregor riserva alle teorie psicoanalitiche di Peter Nathan, di Wilhelm Reich e di Erich Fromm, per le quali il fascismo è da considerare la conseguenza di deficienze psicologiche diffuse sia tra i capi sia tra le masse. Questa concezione, che si fonda su linee interpretative secondo le quali le società umane sarebbero strutturalmente affette da nevrosi e psicopatologie, individuali e di massa, ha il difetto, secondo l'autore, di basarsi su prove empiriche assai labili e di operare generalizzazioni sin troppo ampie perché da esse si possa ricavare un giudizio storicamente concreto. Infatti, sia che si consideri il fascismo come il prodotto di un'epocale complesso di Edipo (Nathan), sia che lo s'intenda invece come lo sbocco obbligato di secoli di repressione sessuale (Reich), sia, infine, che lo si esamini come l'esito delle angosce dovute alla perdita di senso e all'isolamento morale dell'uomo moderno (Fromm), la conclusione è identica: l'uomo è malato e, in quanto malato, fascista. L'unilateralità di queste teorie e le petizioni di principio su cui si fondano sono evidenti.

Di ben maggiore livello sono invece, secondo il politologo californiano, le teorie che, sulla scia di Le Bon, inquadrano il fascismo e i totalitarismi nel contesto epocale segnato dell'ascesa delle masse sulla vita politica europea.

Sebbene questa linea interpretativa sia stata sviluppata in modi differenti e con accenti che privilegiano aspetti diversi della complessa problematica della "società di massa", i suoi assi portanti sono comuni a tutti gli autori che vi si sono cimentati (Ortega, Lederer, Offer, Kornhauser, Arendt, Talcott Parsons).

Secondo tale interpretazione, la rivoluzione industriale e lo sviluppo del capitalismo hanno generato un processo di sradicamento che ha avuto come conseguenza la distruzione della vecchia società di classe e la nascita di un nuovo soggetto storico: l'uomo-massa. Privato delle tradizionali strutture che regolavano la sua vita sociale (ceti, corporazioni, ordinamenti locali etc.), condannato all'anomia e all'isolamento, l'uomo moderno agisce nella vita collettiva senza la guida di interessi politici immediati e concreti. Esso è pertanto facilmente suggestionabile dai riti di massa e dalle tecniche di propaganda di cui si servono i movimenti totalitari, i quali a loro volta accelerano la demolizione delle vecchie strutture sociali per facilitare il controllo e la mobilitazione della compagine sociale.

Per quanto suggestive, queste teorie secondo Gregor non reggono di fronte ad un'analisi approfondita. Che le masse, considerate come totalità indifferenziate, siano necessarie ai movimenti totalitari è vero. Altrettanto ovvio è il fatto che la mobilitazione socio-politica totalitaria avviene più efficacemente in condizioni di avanzato atomismo sociale. Ma la realtà storica che il fascismo affrontò era ben più composita di quanto queste tesi lascino immaginare. Mussolini giunse al potere attraverso un'accorta opera di mediazione tra gli interessi concreti di gruppi sociali e di istituzioni politiche che, per quanto in crisi, godevano ancora di sufficiente vitalità ed erano portatori di istanze ben precise: ad esempio la chiesa cattolica, i proprietari terrieri, la media borghesia, gli industriali. I suddetti gruppi non solo sopravvissero durante il fascismo, ma conservarono un peso politico tale da consentire loro di decretarne in seguito la crisi politica. Nonostante i validi spunti di questa teoria, è evidente che le direzioni da seguire, ai fini di una valida interpretazione del fascismo, sono, per l'autore del volume, ben altre.

Molto più ampia è la disamina che lo studioso americano dedica alle interpretazioni di matrice marxista, che considerano il fascismo come una conseguenza della lotta di classe. Tali tesi hanno attraversato delle fasi di sviluppo e di continua revisione e si sono gradualmente trasformate da strumento concettuale per battaglie politiche (caratteristica, questa, assai marcata nelle opere di Gino Aquila, Clara Zetkin e Palme Dutt) in apparato scientifico di tutto rispetto (come invece risulta negli studi di Thalheimer, Bauer, Borkenau e Vajda).

Risultava in effetti difficile, soprattutto alla luce delle più approfondite ricerche storiche, continuare a sostenere la tesi che il fascismo fosse stato una forza reazionaria manovrata dalla grossa borghesia agraria, finanziaria e industriale al duplice scopo di frenare la rivoluzione proletaria e di consentire al capitalismo di sopravvivere mediante un rallentamento della produzione ed un contenimento dei consumi, attuato mediante la compressione dei salari. Le prove a disposizione degli studiosi dimostrano l'esatto contrario: il fascismo non solo non si sottomise ai gruppi d'interesse che ne avevano aiutato l'ascesa, ma riuscì addirittura a mantenere nei loro confronti una forte autonomia.

Grazie alla creazione di un complesso sistema di burocrazie, il movimento mussoliniano fu in grado di esercitare un controllo centralizzato sull'economia e di attuare una politica dirigista. Tale attività conferì al fascismo un carattere pronunciatamente interclassista, che smentisce l'assunto da cui la teoria in esame era partita.

Proprio da certi sviluppi critici della tesi marxista derivano i due ultimi approcci esaminati da Gregor. Il primo è quello che considera, sulla scia delle ricerche di Rostow e di Organski, il fascismo come un fattore di sviluppo dei sistemi economici arretrati. Si tratta della lettura in chiave di "modernizzazione" fatta proprio nel contesto italiano soprattutto da Ludovico Garruccio, firma dietro la quale si è lungamente nascosto, per ragioni professionali, l'ex ambasciatore Ludovico Incisa di Camerana, del quale peraltro proprio nella collana "Fascismo/fascismi" è prevista la pubblicazione di un'ampia raccolta di saggi dal titolo Fascismo, populismo, nazionalismo. Il secondo è quello che si basa sul classico studio di Friedrich e di Brzezinski e che inquadra il fascismo nel più generale concetto di "totalitarismo".

I risultati di ricerca conseguiti da questi due indirizzi sono notevoli, anche se, a giudizio di A. James Gregor, nessuno dei due è riuscito a generare una vera e propria teoria generale di interpretazione del fenomeno fascista. Il primo ha avuto l'indubbio merito di evidenziare il dinamismo progressista con cui il fascismo italiano riuscì a modernizzare e a sviluppare l'apparato produttivo nazionale. Il secondo ha messo in luce le somiglianze strutturali esistenti tra il fascismo e le altre forme di totalitarismo - dal bolscevismo al maoismo, al nazionalsocialismo sovietico - familiarizzando così gli studiosi con l'approccio comparativo tipico peraltro di quel ramo della scienza politica che si occupa di teoria dei regimi politici.

Questi cenni sintetici dovrebbero essere sufficienti per dare un'idea della mole di materiali esaminati da Gregor, il cui volume non ci appare però, nonostante l'indubbio rigore che lo caratterizza, esente dal rischio di fraintendimenti e di lacune, derivanti in buona parte dall'estensione che lo studioso californiano sembra attribuire al concetto di fascismo.

Se è vero che l'analisi tipologica e generalizzante del fascismo, nella versione proposta da Gregor anche in altre sue opere (si pensi a L'ideologia del fascismo, tradotta in Italia dalle Edizioni del Borghese nel lontano 1974), è riuscita a mettere in evidenza le molte somiglianze esistenti tra le varie forme di fascismo comparse sulla scena politica europea ed internazionale, è anche vero che esiste il rischio, tutt'altro che infondato, che un tale approccio, il quale tende a definire "fascisti" o comunque "parafascisti" anche movimenti politici e regimi sorti dopo il secondo conflitto mondiale nel contesto dei paesi in via di sviluppo (soprattutto africani ed asiatici), finisca per inglobare in una sorta di panfascismo dai contorni quanto mai equivoci tutti i sistemi politici non competitivi e tutte le diverse realtà rivoluzionarie di massa. In altre parole, si rischia di definire come genericamente "totalitari" una serie sin troppo variegata di movimenti, regimi ed esperienze politiche senza tenere nel debito conto le specifiche - ed in molti casi assolutamente uniche - condizioni storico-ambientali in cui ognuno di essi è nato ed ha operato.

Un'obiezione analoga può essere ripetuta per quel che concerne l'aspetto ideologico e culturale. Mentre l'ideologia politica del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco è sorta nel contesto di due paesi di grandi tradizioni storico-politiche, con tutto ciò che ne è derivato in termini di confronto, di suggestioni e di possibili radici, lo stesso non può ovviamente dirsi per esperienze quali, ad esempio, il castrismo, certe forme di "socialismo nazionale" africano o la maggior parte di quelle "dittature di sviluppo" sorte nel dopoguerra in seguito al processo di decolonizzazione e che Gregor tende a considerare come eredi, in certo qual modo, del fascismo storico.

In effetti risulta difficile comprendere l'ideologia del fascismo prescindendo dal suo nucleo storico politico-culturale. In questo caso si rischia, ai fini della comprensione del fenomeno fascista, di ridurre l'importanza del fattore ideologico, un fattore al quale lo stesso Gregor sembra invece annettere una importanza dirimente.

Di questi limiti (oggetto di confronto nel già citato dibattito tra De Felice, Del Noce e Gregor, riportato in appendice al volume) è peraltro consapevole lo stesso autore, che, nel capitolo conclusivo de Il fascismo. Interpretazioni e giudizi, invoca la necessità che lo studio del fenomeno fascista venga condotto quanto più possibile in un'ottica interdisciplinare, tenendo quindi conto degli apporti provenienti dalle diverse aree disciplinari.

Solo una tale ricerca in chiave socio-politica è, per Gregor, l'unica in grado di gettare luce, al di là di qualunque pregiudizio ideologico o moralismo, sulla realtà politica degli anni Trenta, sulla natura di regimi monopartitici e più in generale sulle complesse vicende politiche che hanno caratterizzato la storia di questo secolo. Da questo punto di vista il volume, la cui lettura è consigliabile ad integrazione del classico studio di De Felice su Le interpretazioni del fascismo costituisce un buon esempio di obiettiva scientifica e di rigore metodologico.

Saverio Paletta





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Data pubblicazione: 18 luglio 2007

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