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Il PdL: tutto e il contrario di tutto

   Marco Tarchi risponde alle domande di Alessandro Bedini per il quotidiano L'Eco di Bergamo.  

Marco Tarchi risponde alle domande di Alessandro Bedini per il quotidiano L'Eco di Bergamo.
«Fini sa di dovere all'esternazione di Berlusconi a suo favore quando ambiva alla carica di sindaco di Roma il primo decisivo passo dello sdoganamento che lo ha proiettato dalla marginalità al governo, e se un tempo poteva essergli in qualche misura riconoscente, oggi quel debito gli pesa e vorrebbe cancellarlo, facendo vedere a tutti di essersi completamente emancipato dal tutore. Non c'è bisogno di essere esperti in psicoanalisi per vederci un caso esemplare di desiderio di "uccisione del padre", ancorché putativo (quello politico effettivo, Almirante, è provvidenzialmente scomparso subito dopo avergli consegnato lo scettro del potere)».
Marco Tarchi è un noto politologo dell'Università di Firenze. Da anni si dedica all'analisi dei percorsi politici della destra italiana e europea. Su tale argomento ha scritto: «Cinquant'anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo» (Rizzoli, 1995); «Esuli in patria», (Guanda 1995); «Dal Msi ad An», (Il Mulino 1997), oltre a numerosi saggi su riviste scientifiche. Gli abbiamo chiesto dove stia andando la destra italiana dopo le dichiarazioni del suo leader Gianfranco Fini.

Professor Tarchi, le recenti prese di posizione di Gianfranco Fini sulla questione degli immigrati e non solo, hanno provocato più di un mal di pancia nel centrodestra. Lei a cosa attribuisce le «esternazioni» del presidente della Camera?
«A una tattica che Fini adotta da anni, ispirata dal tentativo di riscuotere consenso in ambienti teoricamente avversari, per riceverne una legittimazione preziosa qualora gli si presentasse, in un prossimo futuro, l'opportunità di concorrere all'elezione alla presidenza della Repubblica – per la quale occorre un consenso più ampio e più solido di quello di cui dispone l'attuale maggioranza – o, nel caso di un'uscita di scena di Berlusconi, alla sua successione alla presidenza del Consiglio. Fini sa che nel Pdl troverebbe ostacoli e concorrenze difficili da superare, e per questo cerca un'altra sponda di sostegno».

Secondo lei il popolo della libertà sta andando verso un modello di destra populista o tradizionalmente  conservatrice?
«Al momento, non mi pare che abbia un'identità culturale o programmatica unitaria. Si muove con un estremo pragmatismo, a seconda delle circostanze. Al suo interno convivono visioni e tendenze eterogenee, dall'antimercatismo alla più stretta ortodossia globalista e consumista, dallo statalismo centralista al federalismo, dal laicismo al clericalismo, dalla sensibilità ecologista all'industrialismo cementificatore, da un europeismo con velleità autonomistiche all'atlantismo dogmatico, dall'efficientismo sburocratizzante al conservatorismo immobilista che sogna la rendita clientelare di nuove Casse del Mezzogiorno. Ad assicurare una provvisoria sintesi a queste pulsioni contrastanti è Berlusconi in persona, con il suo stile populista e le connesse capacità comunicative. È difficile prevedere cosa accadrà quando il suo impulso verrà meno».

Secondo lei, quali sono realmente i rapporti tra Fini e Berlusconi?
«Trattandosi di due soggetti fortemente ambiziosi e provvisti di un'esuberante autostima, è lecito pensare che non si amino. Inoltre, provenendo da due percorsi formativi molto diversi, è probabile che non si siano mai granché apprezzati: notoriamente, Berlusconi non stravede per chi è vissuto sempre e solo di politica, e Fini è uno degli esemplari più tipici di questa categoria, e l'attuale presidente della Camera ha sempre visto come il fumo negli occhi, sin da quando era segretario del Msi, chiunque entrasse in politica con alle spalle una storia personale estranea alla vita di partito. Inoltre, Fini sa di dovere all'esternazione di Berlusconi a suo favore quando ambiva alla carica di sindaco di Roma il primo decisivo passo dello sdoganamento che lo ha proiettato dalla marginalità al governo, e se un tempo poteva essergli in qualche misura riconoscente, oggi quel debito gli pesa e vorrebbe cancellarlo, facendo vedere a tutti di essersi completamente emancipato dal tutore. Non c'è bisogno di essere esperti in psicoanalisi per vederci un caso esemplare di desiderio di "uccisione del padre", ancorché putativo (quello politico effettivo, Almirante, è provvidenzialmente scomparso subito dopo avergli consegnato lo scettro del potere)».

Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che i recenti attacchi al presidente della Camera siano ispirati da alcuni ex colonnelli di An che vorrebbero scaricarlo. Lei cosa ne pensa?
«Un politologo deve basarsi sui fatti, non lasciarsi prendere la mano da illazioni. Io non dispongo di fonti riservate e non raccolgo gossip. Quel che mi pare certo è che, malgrado l'attacco di Feltri abbia causato una levata di scudi di quasi tutta l'ex classe dirigente di Alleanza nazionale a difesa di Fini, una parte di essa digerisca a fatica molte prese di posizione dell'ex leader. C'è una cerchia di fedelissimi, in buona parte oppositori di lungo corso del Fini missino – rautiani degli anni Settanta, seguaci della Nuova Destra del decennio successivo – che hanno sposato i suoi odierni obiettivi e sono disposti ad assecondarne la tattica e le ambizioni, ma molti altri, che invece il percorso dal Msi ad An lo hanno compiuto sempre al fianco di Fini, sono perplessi od ostili. In entrambi i casi, le idee e i programmi c'entrano poco: sono in gioco prospettive di carriera e visibilità personale, che in politica oggi contano più che mai».

C'è chi dice, rifacendosi a vecchie e paludate categorie, che Fini sta andando a sinistra. È vero?
«In alcuni ambiti, sì, in altri meno. Il suo progetto può avere successo se riesce a tenersi in equilibrio
tra gli estimatori di vecchia data, nel centrodestra, e chi lo vede come il meno peggio in odio a Berlusconi, nel centrosinistra. Nel primo caso, però, si rivolge ad elettori; nel secondo, a esponenti del ceto politico. Occorrono accenti e gesti differenziati, e una capacità di dissimulazione che non teme l'uso dell'ipocrisia. Anch'essa, in politica, arma efficace e diffusa».


[intervista tratta da L'eco di Bergamo del 10 settembre 2009]





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Data pubblicazione: 14 settembre 2009

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