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Per farla finita con la destra

 Il filo conduttore del pamphlet è un'interpretazione rabdomantica del destino delimitala dal crollo del fascismo ad oggi, le cui piste sono scavate ...

Il filo conduttore del pamphlet è un'interpretazione rabdomantica del destino delimitala dal crollo del fascismo ad oggi, le cui piste sono scavate dalla memoria dell'io narrante, dai suoi umori, dalle constatazioni delle sensazioni provate di fronte a questo o a quei punto di svolta. In questo girovagare, il sensore utilizzato é l'esperienza di un "uomo di destra" suo malgrado, invischiato in un percorso che gli sta stretto ma che pure, in qualche modo, si sente costretto a proseguire.

Stenio Solinas, Per farla finita con la Destra, Ponte alle Grazie, Milano 1997, pagg. 92, lire 18.000.

Se un male più grave degli altri ha afflitto, fin dal suo sorgere, il microcosmo neofascista italiano, oggi pudicamente e ipocritamente identificato come Destra, é stato l'ostinazione ad anteporre le ragioni della sopravvivenza a quelle dell'onestà intellettuale e del senso critico. Toccando le corde del sentimentalismo e dell'orgoglio di partito, i suoi leaders non si sono mai stancati di occultare gli aspetti più discutibili del la realtà in cui erano coinvolti, pur di ottenere dai seguaci faziosità e fideismo in dosi sufficienti a lasciare impunito ogni loro errore o malefatta. E ogniqualvolta qualche singolo o gruppo si é scostato dai parametri dell'obbedienza cieca, pronta e assoluta per chiede re conto delle illusioni e degli inganni, é puntualmente scattato il meccanismo dell'anatema. Con scarsa originalità, le accuse rivolte ai ribelli si sono stanca mente ripetute: le loro analisi, qualunque fossero i da ti su cui si fondavano, sono state liquidate come frutto di rancore o risentimento; le ragioni delle rotture sono state ricondotte a questioni di ordine personale: ripicche, interessi privati, carrierismo frustrato, utopismo, mancanza di coraggio, e via sparlando e insinuando. Fortunatamente, il Msi e i suoi succedanei non hanno mai disposto degli strumenti di punizione di cui abbondavano i partiti comunisti di un tempo, e per molti "disertori" il commiato dalla casa-madre ha avuto quale unica conseguenza l'amarezza del disincanto. Il meccanismo della diffamazione ha comunque continuato a lavorare a pieno ritmo, avvalendosi del clima psicologico che prospera nei partiti - di integrazione ": i nomi degli ex sono stati cancellati dalle cronache interne, le loro opere ed opinioni non hanno più trovato spazio nella pubblicistica ufficiale e in genere neppure in quella ufficiosa, se non in occasione di qualche attacco velenoso. E non di rado l'ostilità si é spinta sino al tentativo di oscura re la circolazione delle idee dei "dissidenti" in quegli ambienti esterni dove il Msi era riuscito a insediare qualche esponente o simpatizzante (il comportamento dei missini paracadutati in Rai in virtù degli accordi con i socialisti negli anni Ottanta é, da questo punto di vista, un capitolo esemplare di una storia che é ancora tutta da scrivere).

Stanti queste premesse, c'é da immaginarsi la sorte che subirà, negli ambienti che ne hanno ospitato i sogni giovanili, Stenio Solinas, il quarantaseienne caporedattore per la cultura e gli spettacoli de " Il Giornale " che con il suo più recente pamphlet osa rivangare la congerie di incongruenze, pochezze e meschinità che ha caratterizzato nell'arco del secondo dopoguerra non solo l'establishment missino ma anche il suo elettorato. C'é solo da chiedersi se nei suoi confronti prevarrà l'accusa di intelligenza coi nemico o quella di scarsa carità di patria; se lo si de scriverà più spesso come un invidioso roso dalla bile o come un ingenuo sognatore. Su questo punto, sta remo a vedere. Non c'é invece alcun dubbio che sul la sostanza delle affermazioni contenute in Per farla finita con la Destra i diretti interessati non profferiranno verbo, fedeli alla regola dello struzzo. Salvo risvegliarsi un domani rintronati da qualche imprevisto rovescio elettorale ed accorgersi - senza ammetterlo, ovviamente - che il "traditore" di turno aveva, per l'ennesima volta, ragione.

Dando per scontato che il volumetto non avrà esiti degni di nota sul suo pubblico naturale, resta da capire quale sarà il suo impatto in altri ambienti. A giudicare dalle prime recensioni comparse sulla grande stampa, su questo versante sembrano destinate a prevalere le interpretazioni strumentali, che prendo no spunto dal titolo per far credere al potenziale lettore che la fatica solinasiana sia una mera resa dei conti individuale, frutto del talento di un temperamento aristocratizzante, anarchico e iconoclasta che non sa adattarsi al tempo in cui si é trovato costretto a vivere e fa della deprecazione l'arma con cui vendicarsi di questo infelice destino. Se così accadesse, sarebbe un peccato. Perchè nelle ottantasei pagine di questa arrembante requisitoria sono seminati molti spunti utili a chi voglia sul serio interrogarsi sulle radici di quel malessere italiano la cui denuncia é oggi tanto in voga.

Per farla finita con la Destra non é infatti solo la ricognizione polemica di una fetta solitamente trascurata della società politica e civile italiana; é anche, e soprattutto, uno stringato compendio dei difetti che affliggono il carattere nazionale della nostra penisola e quella delle sue classi dirigenti. E un atto di dolore posto a suggello di un amore sfortunato, che ha per oggetto un intero paese. é uno sfogo appassionato che merita rispetto anche da parte di chi (come nel nostro caso) non ha più con l'Italia alcun feeling e non si sognerebbe di chiamarla mai " cara e porca ", avendo esaurito da tempo le riserve di immedesimazione psicologica in un'entità collettiva che non sa più assegnarsi nè una dignità nè un destino.

Naturalmente del libro, che dietro le parvenze del l'invettiva cela le inquietudini dell'accidentato percorso esistenziale dell'autore, sono possibili - e egualmente lecite - due diverse letture. Si può cioé scegliere di concentrare l'attenzione sulla testimonianza di una vicenda personale e sul tentativo di innalzarla, senza smanie di protagonismo, a metro di giudizio valido per un'intera generazione e forse più, oppure privilegiare la diagnosi per frammenti della catastrofe italiana, che non risparmia nessuno del suoi artefici perchè non ha motivo di cedere al ricatto affettivo del la complicità. In entrambi i casi, il punto di approdo é comunque lo stesso: la constatazione di un orizzonte oscuro, di fronte al quale la salvezza non può giungere che da una overdose di "pessimismo attivo", pietanza amara ma tonificante che Solinas ha imparato ad apprezzare grazie alle pagine di due degli autori preferiti, Malraux e Drieu La Rochelle.

Il filo conduttore del pamphlet è un'interpretazione rabdomantica del destino delimitala dal crollo del fascismo ad oggi, le cui piste sono scavate dalla memoria dell'io narrante, dai suoi umori, dalle constatazioni delle sensazioni provate di fronte a questo o a quei punto di svolta. In questo girovagare, il sensore utilizzato é l'esperienza di un "uomo di destra" suo malgrado, invischiato in un percorso che gli sta stretto ma che pure, in qualche modo, si sente costretto a proseguire.

Questa contraddizione obbliga da molti anni l'autore a rimuginare, somatizzare, soffrire giorno dopo giorno gli stimoli dell'illusione (sempre più rarà e della delusione (sempre più frequente), rimeditando gli aspetti paradossali della sorte che gli é toccata. Delle scelte compiute, Solinas dà una duplice spiegazione, legata da un lato al proprio carattere e dall'altro al peso delle circostanze; ma viene da pensare, scorrendo queste sue confessioni, che siano state soprattutto le seconde a pesare. Cosa mai poteva infatti predisporre un " nemico giurato di ogni disciplina ", ancorchè " naturaliter antidemocratico " per diffidenza verso il verbo egualitario, a ritrovarsi in un ambiente che del gerarchismo faceva un oggetto di culto? Cosa poteva avvicinarlo a quella destra che definisce " il concentrato del conformismo e del quieto vivere " nella sua versione moderata e " un campionario unico di tipi e di tic, di vizi e di manie " nella sua versione militante? Una sola cosa: il disgusto per la mediocrità imperante nella società che lo circondava e la mancanza di alternative per poter esprimere pubblicamente il rifiuto che ne discendeva.

Questo concorso di circostanze rende ragione di una predilezione per la "parte maledetta" che a tutt'oggi suona incomprensibile a molti, convinti che ad esse re attratti dal fascino di un modello (esistenziale prima che politico) rovinosamente sconfitto dagli eventi storici non potessero essere, dopo il 1945, che dei pazzi, dei bruti o, nel meno peggiore dei casi, degli inguaribili nostalgici. Per dirla con le parole di Solinas, " il nostro fascismo di ventenni era più un modo di dichiarare il disprezzo per l'Italia in cui ci trovavamo a vivere, e un atteggiamento nei confronti dell'esistenza tale da non farci ridurre a un numero nella società dei consumi, dove tutto si misura in termini di denaro e di successo ".

In questo senso, l'itinerario accennato nel libro é effettivamente rappresentativo, pur con i suoi aspetti di singolarità, del percorso generazionale di - quei non conformisti che si ritrovarono a destra perchè non sapevano dove andare ". A quella cerchia di ragazzi che.attraversarono controllano gli anni Settanta si poteva aderire per le ragioni più diverse, talvolta opposte. Fermo restando il comune disgusto per la palude della politica democristiana e centrista, si poteva detestare la sinistra per il suo stile e i suoi gusti, pur apprezzandone le intenzioni, o viceversa: quei che contava é che, rifiutandola, si evitava di intrupparsi nel gregge, di fare massa, di sottoscrivere alle mitologie alla moda. Era probabilmente, come oggi Solinas sostiene, un modo per meglio sopportare il disadattamento ad un'epoca ingrata e rovesciare in positivo una condizione psicologica di solitudine e di diversità. Nella renitenza ad accettate il mondo per come era diventato, affondava le radici quei rimpianto per non aver fatto in tempo a combattere e perdere in prima persona il conflitto ideologico innescatosi fra le due guerre mondiali che si sarebbe subito trasformato in immedesimazione nella causa dei vinti.

Certo, a guardarla retrospettivamente, la convinzione che il mondo avrebbe potuto essere migliore se la storia avesse nel 1945 invertito il suo corso può apparire insensata, tanto più se covata da ventenni che del fascismo non accettavano (come emerge dagli scritti di allora) quasi nessuno dei tratti caratteristici: non il culto della violenza e della guerra, non l'idea di uno Stato autoritario, non l'imperialismo e il colonialismo.

Eppure, la spinta a distanziarsi dall'immaginario medio di coetanei e connazionali era tanto forte da far accettare una mimesi della guerra perduta che ebbe, negli anni di piombo, tinte angoscianti, e da spingere a sopportare la vita in un ambiente politico di cui si condividevano talune suggestioni ideali ma già si deprecavano la psicologia e i comportamenti.

Chi accusa Solinas di descrivere oggi quell'esperienza con eccessiva acredine, pecca di ingenuità o di malafede. Al contrario, le sue pagine sono il segno di una fedeltà.postuma a quell' "etica ed estetica della gioventù" a cui, da entusiasta lettore di Brasillach, ha sempre ispirato i suoi comportamenti; di più: sono la testimonianza dell'orgoglioso rifiuto di abiurare un'appartenenza. Stanno a dimostrarlo, fra l'altro, i richiami all'esperienza, vissuta da protagonista, della Nuova Destra, un "soggetto di elaborazione metapolitica" che "mirava a staccare un ambiente dal culto infecondo del passato e a costringerlo a misurarsi con la modernità e i suoi problemi". Progetto irrealizzato proprio perchè ad affossarlo é stata la cronica incapacità della destra a pensare in grande e a liberarsi della mortificante zavorra delle nostalgie di orizzonti scomparsi.

Chiusa anche l'estrema stagione di speranze della ND, Solinas si trova di fronte ad un impossibile dialogo col presente, al quale dedica molte pagine del pamphlet. Convinto più che mai che il bipolarismo destra-sinistra sia espressione di manicheismo e di inadeguatezza ad affrontare i bisogni reali di un paese come l'Italia, il suo bisogno di trasversalità resta inappagato. La destra, con cui pure si ostina a convivere da separato in casa, ha poco da dirgli. Preoccupato dello scempio ecologico, non può accettarne la forma mentis abusivista e le smanie cementificatrici; convinto che al giorno d'oggi non ci sia nulla che valga la pena di essere conservato, ne irride le " battaglie di retroguardia " e la perdurante " vocazione censoria e repressiva ", sui problemi della scuola come sulla moralità dei costumi; preoccupato per le incognite della società multirazziale, ne deplora gli atteggiamenti xenofobi e irresponsabili in materia di immigrazione; e così via, in un crescendo di lamentazioni. Con la sinistra, però, non riesce ad avere rapporti migliori. Le riconosce la "parte nobile" di un bagaglio ideale pur gravato della " zavorra tipica del la realizzazione in terra di un Eden sociale ": l'attenzione e la partecipazione per le questioni cruciali del l'ambiente naturale, la " comunione di spirito con la "schiuma della terra", con i reietti senza arte nè parte ", con gli " umiliati e offesi ", e persino una positiva inclinazione alla gratuità delle scelte e delle azioni e la " capacità di ergersi contro le ingiustizie, [la] disponibilità a prendersi sulle spalle fardelli che altri avrebbero lasciato tranquillamente al loro posto ", bene prezioso in un'epoca asfissiata dall'utilitarismo. Ma, al dunque, questi attestati non bastano a gettare le basi di un feeling, troppo forte essendo la repulsione per l'altra faccia della medaglia di un'ideologia puntata " a alzo zero per distruggere qualsiasi diversità, qualsiasi accenno di stile, accento di bellezza" e che con gli anni, depurandosi, si va caricando dei tratti peggiori delle culture che le sono state avversarie.

Respinto dalla "Destra senz'anima del capitale", "ieri democristiana per scelta, poi cattocomunista per calcolo, oggi probabilmente polista, se il Polo fosse al governo, e per l'intanto ulivista fin quando le conviene", incapace di adattarsi "al contenitore del la cosiddetta Destra politica", in cui vede "un con centrato del peggior centrismo democristiano, del nazionalismo patetico e del qualunquismo volgare postmissino, del liberalismo all'americana (all'amatriciana ...) berlusconiano", Solinas è oggi forse più di ieri, e non esita ad ammetterlo, un esule in patria.

Può sorprendere il fatto che, malgrado tutto, continui a frequentare le colonne della stampa di orientamento più conservatore; ma probabilmente sono più le discriminazioni dell'apparato culturale progressista che gli echi di antiche passioni a determinare questa scelta. E forse, a consolarlo un pò della mancanza di modelli in cui rispecchiarsi e a indurlo a non abbassare la guardia é la generosa quantità di idoli da abbattere che si trova attorno.

Sul ritmo dei colpi vibrati a questi bersagli scorrono molte delle pagine di Per farla finita con la destra.

L'obiettivo principale é il liberalismo, inteso non come metodo ma come " un'ideologia ben precisa, che vede l'individuo teso al soddisfacimento dei propri bisogni, legato alla comunità nazionale da un semplice rapporto di servizi richiesti e pagati, che nel mercato ha il suo dominus e il suo referente, che dal successo economico di un'impresa trae l'assunto della liceità della stessa, che, filosoficamente, considera l'essere umano come monade a sè stante, non legato da alcun vincolo di solidarietà, egoisticamente autorappresentativo, senza passato nè futuro se non quelli che si esauriscono nella sua persona ". Al prevalere di questo modo di pensare, Solinas addebita molti del guasti dell'Italia odierna. Gli imputa il discredito di cui é circondata la politica e l'abisso che si é scavato fra governanti e governati (forse con eccessiva generosità verso questi ultimi), nonchè l'incomprensione per il ruolo delle èlites, chiamate, " con tutto il loro corteo di miti, di progetti, di obiettivi, di parole d'ordine, a dare un senso, una forma, un valore a ciò che non lo ha, a formare una comunità dal l'insieme di tante, diverse, persino contrastanti ideologie ". Gli rimprovera di aver avviato una impossibile corsa al benessere di massa il cui traguardo viene " ogni volta spostato di un centimetro, di un metro, di un chilometro", alimentando frustrazioni e diseducando al senso della misura, e di aver contraffatto la verità storica, riducendo il XX secolo a " conteggio macabro di delitti " a carico dei regimi totalitari, onde sfruttare la funesta ombra del Gulag e dei Lager per scomunicare ogni potenziale concorrente.

E gli mette in conto anche, non a torto, l'inettitudine in campo internazionale dei governi della penisola, indotta proprio dal fatto di " aver negato alla politica [il] ruolo di indicatore delle speranze e della volontà di realizzazione di un popolo -. Le colpe del marxismo non sono ovviamente ignorate, ma a Muro caduto ormai da un pezzo e concorrenza debellata, spetta ai corifei dell'Occidente assumersi in prima persona le maggiori responsabilità della situazione.

In questo panorama di sfacelo, niente si salva: "L'Iitalia é finita, ecco quel che resta ", si potrebbe dire parafrasando il Prezzolini che di Solinas é stato il primo maestro d'elezione. Non possono consolare le nostalgie, giacchè il fascismo, pur rifiutandone recisamente banalizzazioni e demonizzazioni, é oggi derubricato a delusione. Non sono ipotizzabili benefici scrolloni della coscienza nazionale, perchè la generazione dei Rati dopo gli anni Cinquanta " di fronte [a]lla parola patria" ha una vertigine e un rigetto, sente che non fa parte del suo codice genetico " e la dissoluzione dell'Italia in quanto nazione é ormai cosa fatta. Nè si può aver fiducia nelle istituzioni, giacchè lo Stato é stato delegittimato dalla lunga occupazione partitocratica e attira solo odii e diffidenze. Non c'é davvero via di scampo, se perfino " il più moderno fra i movimenti presenti sulla scena italiana ", la Lega, l'unico ad aver capito l'obsolescenza del sistema di riferimento Destra-Centro-Sinistra-e ad aver colto " la necessità di aggregazioni trasversali atte a sostituire quelle di classe o di censo, laiche e confessionali, tecnocratiche " e perciò venutasi configurando come un'ultima spiaggia per molti delusi dalle vecchie ideologie, non é all'altezza di una prospettiva di cambiamento radicale, chiusa com'é in un obiettivo, l'instaurazione di una Padania indipendente, " risibile dal punto di vista geopolitico e meno attraente, nel l'orizzonte estetico dei valori che racchiude, del resto d'Italia da cui si staccherebbe Illudersi che una simile catastrofe possa essere rimediata affidandosi alla mera volontà sarebbe insensato e inutile. Ma per chi, come Solinas, é tormentato da un " amore disperato e struggente per il proprio Paese -, la mera contemplazione dello spettacolo o, peggio, la rassegnazione é, ovviamente, inaccettabile. Fa dunque capolino, nelle ultime righe del libro, un abbozzo di soluzione: il pubblico congedo da un luogo dell'immaginario politico - la Destra, appunto - come atto di istigazione rivolto agli uomini in buona fede che hanno provato sulla propria pelle analoghe delusioni, pur proveniendo da altri punti cardinali dell'universo ideologico. " Se anche altre "famiglie intellettuali" cominciassero a pensare in modo unita rio ciò che fino a oggi hanno accuratamente tenuto diviso, forse si avrebbe un primo piccolo, ma significativo passo sulla strada del riscatto ". E' probabilmente vero, a patto però di intraprendere la nuova cerca senza mai cedere alla tentazione di girarsi in dietro, di cercar rifugio nel tepore delle amicizie di altri tempi, di cedere al ricatto degli affetti. Dai primi anni Ottanta ad oggi, la via della fondazione di nuove sintesi ideologiche proiettate al di là delle insufficienze e degli errori sia della destra che della sinistra é stata lastricata di statue di sale, pietrificate dall'indecisione. Può darsi che non sia stata azzeccata la scelta di chi si é ostinato " a fare riviste e rivistine che nessuno leggeva, eccezion fatta per chi le firmava, a partecipare a convegni dove nessun "esterno" veniva, a scrivere libri che nessuno recensiva " ma certo non si é dimostrato più lungimirante chi si é illuso di veder ascoltata la sua predicazione eretica il giorno in cui sarebbe riuscito a conquistarsi il diritto di parlare dalle colonne di qualche organo di stampa acquistato e letto da torme di borghesi qualunquisti. Anche questo é un modo per predicare nel deserto, e per giunta più pericoloso, in quanto di pendente dall'altrui sopportazione. Perchè si esca dall'impasse, occorre ormai oltrepassare lo stadio delle buone intenzioni, e recidere quel che resta di cordoni ombelicali marciti. Solo così, con gli equivoci del vecchio mondo, si potrà farla finita per davvero, e al tempo delle deprecazioni potrà succedere quello di nuove speranze.





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Data pubblicazione: 18 luglio 2007

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