Rifondatore della destra? [diorama.it]

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Rifondatore della destra?

  Anticapitalista, perché disgustato dalla mercificazione dell'esistenza e dei rapporti sociali. Nemico della globalizzazione perché ...

Anticapitalista, perché disgustato dalla mercificazione dell'esistenza e dei rapporti sociali. Nemico della globalizzazione perché devasta ciò che dà bellezza al mondo – le differenze – ma immune da nostalgie per le sovranità nazionali al tramonto. Avversario dell'individualismo, disgregatore delle identità. Critico del cosmopolitismo e dell'immigrazione di massa, ma assertore di un dialogo interculturale basato sulla pari dignità. Spregiatore della xenofobia e del suo uso ossessivo di capri espiatori. E poi alfiere della resistenza all'egemonia statunitense, dei diritti dei popoli all'autodeterminazione, dell'alleanza fra Europa e Terzo Mondo, della libertà sessuale, dell'ecologia profonda… Che un abisso separi Alain de Benoist dalle mentalità diffuse a destra, che ai partiti di quest'area offrono oggi un consenso diffuso, nessuno può, in cognizione di causa, dubitare. Ci hanno provato in molti a tagliare addosso ad Alain de Benoist i panni del teorico innovatore e rifondatore della destra – anzi, per qualcuno, della "vera" destra. E ci provano ancora, da tutte le direzioni: chi per demonizzarlo, chi per lodarlo, chi per "smascherarlo". È recente l'episodio delle tesi congressuali di Alleanza nazionale, dove una sua citazione è stata introdotta solo per inserirne il nome nell'asfittica galleria degli intellettuali d'area, e in questi giorni è in libreria un volume a lui interamente dedicato (Germinario, La destra degli dèi, Bollati Boringhieri) in cui più di trentacinque anni di riflessioni ricche di evoluzioni, ricerche e modifiche di percorso sono compattati in un progetto senza tempo e ripensamenti, perfetto per fornire alimento al nuovo look dei populismi xenofobi.

Buono per creare un alone di zolfo attorno al personaggio e attirargli sul capo i fulmini scomunicanti della casta intellettuale – liberale non meno che marxista, se è vero che è stato un allievo di Settembrini e Pellicani a scrivere che dietro al suo pensiero si intravede il profilo delle camere a gas –, questo approccio non rende ragione a de Benoist e impedisce la circolazione delle sue idee, innovative fino alla provocazione, negli ambienti che più ne trarrebbero giovamento, per l'appunto quelli della sinistra. Pochissimo può dire infatti oggi la sua analisi della società alla destra d'ogni latitudine e sfumatura, e forse non hanno sbagliato né le edizioni del Borghese alla fine degli anni Settanta né Mondadori tre lustri dopo a scartare, dopo un'iniziale tentazione, l'ipotesi di proporre al pubblico italiano Vu de droite, con cui nel 1978 il pensatore transalpino aveva conquistato il premio di saggistica dell'Académie Française e posto le basi dello scandalo che avrebbe fatto di lì a poco della Nuova Destra un tormentone giornalistico in tutta Europa. Né i seguaci di Almirante né quelli di Fini o Berlusconi avrebbero fatto la fila in libreria per acquistare un tomo di ottocento pagine il cui autore non si limitava a dichiarare che le sue idee non erano di destra e in quell'ambito "si collocavano provvisoriamente", ma esponeva punti di vista che li avrebbero profondamente scandalizzati.

Anticristiano, perché convinto che dalla Bibbia abbia preso il via una predicazione egualitaria i cui frutti più maturi sono stati gustati dalla modernità secolarizzata attraverso il comunismo e l'ideologia dei diritti umani. Antinazionalista, perché europeista di cuore e cervello che, come già Carl Schmitt, vede nei grandi spazi continentali gli attori degli antagonismi che segneranno il XXI secolo. Antistatalista, perché sostenitore di una rinascita delle culture locali che solo nel federalismo può sfogarsi. Anticapitalista, perché disgustato dalla mercificazione dell'esistenza e dei rapporti sociali. Nemico della globalizzazione perché devasta ciò che dà bellezza al mondo – le differenze – ma immune da nostalgie per le sovranità nazionali al tramonto. Avversario dell'individualismo, disgregatore delle identità. Critico del cosmopolitismo e dell'immigrazione di massa, ma assertore di un dialogo interculturale basato sulla pari dignità. Spregiatore della xenofobia e del suo uso ossessivo di capri espiatori. E poi alfiere della resistenza all'egemonia statunitense, dei diritti dei popoli all'autodeterminazione, dell'alleanza fra Europa e Terzo Mondo, della libertà sessuale, dell'ecologia profonda… Che un abisso separi Alain de Benoist dalle mentalità diffuse a destra, che ai partiti di quest'area offrono oggi un consenso diffuso, nessuno può, in cognizione di causa, dubitare.

A inchiodare il filosofo transalpino a un'aura ideologica che non gli appartiene è il gioco combinato della pigrizia mentale e delle convenienze che fa da sfondo all'attuale politica e alle sue ricadute culturali. Più i partiti si congedano da visioni del mondo ben definite e i loro programmi si amalgamano, più cresce in loro la necessità di esibire, inventandole con gli opportuni strumenti comunicativi, distinzioni insanabili, ostilità viscerali, lotte all'ultimo sangue che diano all'opinione pubblica teledipendente l'impressione di trovarsi di fronte a campi sideralmente distanti. Alain de Benoist, partito quarant'anni orsono da una destra radicale traumatizzata dai dilemmi della decolonizzazione per approdare passo dopo passo, sulla scia di una critica serrata degli errori e dei tic dell'antica casa madre, a quella che Galli della Loggia ha definito "forse l'unica sinistra attualmente possibile", è preso oggi in ostaggio da questa logica, che cerca di farne una propria pedina.

Destino paradossale. A lui, che dell'incapacità della coppia concettuale sinistra/destra di interpretare gli odierni conflitti sociali e culturali è uno dei più rigorosi assertori, si assegna a forza il ruolo di icona di una "destra pensante" che agli uni serve come immaginetta devozionale e agli altri come bersaglio e spauracchio. Ogni sua frase è sezionata e stravolta secondo la necessità del momento. Ha scritto, poco prima delle elezioni francesi, che reputava lecita ogni scelta di voto fuorché quelle orientate a destra? Ecco pronto Edmondo Berselli su "L'Espresso" per replicargli che comunque, sulle sue idee, vive di rendita Le Pen. Si batte, da anni, contro ogni forma di razzismo? Due articoli di Roberto Bertinetti, sul "Piccolo" e sul "Messaggero", ne fanno una caricatura di Rosenberg e Himmler, ma più pericoloso, perché mascherato. E intanto esponenti locali di An lo invitano a convegni fatti in casa per ascoltare idee che il loro partito aborre e quotidianamente respinge; non importa, purché il suo nome e una foto sul "Secolo d'Italia" convincano i militanti che qualche intellettuale a destra c'è, magari più profondo e originale di Veneziani. La sinistra ci sta e rilancia, bisognosa di nemici com'è per convincersi di esistere: Berlusconi non sempre basta.

Condizione perché il gioco continui è che il grande pubblico le idee di Alain de Benoist non possa conoscerle alla fonte. Che i suoi scritti non vengano pubblicati da editori diffusi in libreria. Che i suoi articoli non trovino ospitalità in alcun quotidiano indipendente, né in Francia né all'estero. Che, per trovare un pubblico, la produzione intellettuale di questo uomo di idee rare per qualità e indipendenza sia costretta a ristagnare su testate difficilmente reperibili oppure bollate da un marchio politico destrorso. Così, si potrà continuare a presentare il suo pensiero come una bizzarria barocca, una pericolosa utopia o una variante di filoni già esplorati e archeologicamente catalogati. Tutto il contrario della realtà: ma questo lo sapranno solo i lettori de Le idee a posto (Akropolis), de L'Impero interiore (Ponte alle Grazie), di Comunismo e nazismo (Arianna), di Democrazia: il problema (Arnaud). Una pattuglia di ardimentosi esploratori dei cataloghi della diffusione libraria "alternativa". Agli altri, la vulgata ufficiale deve bastare. Nessuno disturbi i manovratori della cultura politicamente corretta, per favore.





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Data pubblicazione: 18 luglio 2007

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