Destra, Lega e populismo [diorama.it]

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Destra, Lega e populismo

  In politica, di regola, le esagerazioni e le semplificazioni fruttano più delle argomentazioni sofisticate e profonde, il che spiega questa ...

In politica, di regola, le esagerazioni e le semplificazioni fruttano più delle argomentazioni sofisticate e profonde, il che spiega questa situazione. Tuttavia, a chi non si accontenta di slogan o di battute ad effetto appare evidente che di terze e quarte vie ne esistono, eccome. Dire “integrazione”, ad esempio, non significa chiarire se si intende chiedere agli immigrati di assimilarsi alle tradizioni culturali e ai modelli di comportamento della società di accoglienza oppure il semplice – ancorché rigoroso – rispetto delle leggi. Rilanciato dal Giornale di Feltri in chiave antifiniana, sulle regionali incombe un interrogativo: la Lega sorpasserà il Pdl al Nord? Ne parliamo con il politologo Marco Tarchi, ritenuto uno dei più qualificati studiosi del fenomeno del “populismo”, sia quello di matrice storica che quello attuale, più mediatico.

Anche se il sorpasso non dovesse avvenire, è certo che la rivalità tra leghisti e pidiellini è ormai un dato di fatto nel Nord. Un fattore evitabile o destinato a irrobustirsi?
Dipenderà dalle scelte che il Pdl riterrà opportuno fare, in termini programmatici e di immagini. Quel che la Lega pensa e propone è chiaro da tempo, almeno su temi che gran parte del suo elettorato considera cruciali, in primo luogo l'atteggiamento verso gli immigrati, la società multiculturale, le questioni che riguardano la sicurezza, le priorità in materia abitativa, il protezionismo commerciale, le identità culturali locali e via dicendo. Su alcuni di questi temi, la posizione del Pdl non appare a molti altrettanto chiara ed univoca, e dal dibattito giornalistico e televisivo si ha l'impressione che non sia facile al partito decidere non solo quale linea assumere, ma anche con quali argomentazioni e in quali forme sostenerla.

Con quali conseguenze?
Che oggi nel Pdl convivono due timori che si sommano e si elidono vicendevolmente: di appiattirsi sulla Lega, con il rischio di apparirne al traino, e di distanziarsene troppo, offrendo motivi ad elettori indecisi dell'area di destra per preferire almeno temporaneamente le liste del Carroccio. Rimanere in questa indecisione potrebbe essere elettoralmente penalizzante. È vero che l'attuale sistema elettorale fa spesso degli alleati dei concorrenti, e viceversa, ma all'opinione pubblica occorre rendere chiaro se si considera un determinato partito prima di tutto un compagno di strada o un rivale.

La Lega ha indubbiamente fondato il suo successo elettorale sulla retorica anti-immigrati. Dinanzi a un Pdl che arranca nell'inseguire il Carroccio e a un Fini che risponde con la proposta sulla cittadinanza breve, esiste la possibilità di una terza via, e su che fetta di consenso una simile proposta potrebbe contare in prospettiva?
In politica, di regola, le esagerazioni e le semplificazioni fruttano più delle argomentazioni sofisticate e profonde, il che spiega questa situazione. Tuttavia, a chi non si accontenta di slogan o di battute ad effetto appare evidente che di terze e quarte vie ne esistono, eccome. Dire “integrazione”, ad esempio, non significa chiarire se si intende chiedere agli immigrati di assimilarsi alle tradizioni culturali e ai modelli di comportamento della società di accoglienza oppure il semplice – ancorché rigoroso – rispetto delle leggi. Così come spesso si fa confusione tra cittadinanza e nazionalità e tra il pieno godimento dei diritti civili e la fruizione di diritti specificamente politici. Insomma, le opposte demagogie (perché di questo, a mio avviso, si tratta) eludono il problema dell'edificazione di un modello organico di coesistenza adatto a società multietniche e multiculturali. Il cui futuro, peraltro, è difficilmente immaginabile: il che lascia campo libero alle più opportunistiche elucubrazioni buoniste e cattiviste.

Il successo della Lega viene visto da alcuni intellettuali di destra, come Marcello Veneziani, quale risultato della scomparsa della destra tradizionale non più rappresentata da An né dalle idee di Fini. Una tesi condivisibile?
In parte sì. Non vi è dubbio che nell'ambiente missino circolavano idee, suggestioni, aspirazioni e pregiudizi ad ampio spettro, tra le quali progressivamente le scelte politiche di Alleanza nazionale hanno operato una selezione, molto spesso a mio avviso non adeguatamente preparata, discussa e spiegata ed apparsa a molti come un'improvvisa imposizione, una virata, un cambio di rotta. In questo modo, An ha operato, con gli ovvi vantaggi in termini di legittimazione a governare che sono a tutti noti, un progressivo accostamento a posizioni centriste, lasciando scoperto uno spazio alla propria destra, dove altri soggetti inevitabilmente avrebbero cercato di inserirsi. Ciò spiega sia, da un lato, la crescita numerica di gruppuscoli soprattutto giovanili di intonazione radicale e nostalgica, che ripropongono sorprendentemente, anche se con qualche spruzzata di modernità, modi di pensare e forme stilistiche che vent'anni fa apparivano ormai al tramonto, sia il passaggio di una fascia di elettorato settentrionale alla Lega, che su una vasta serie di temi esprime prese di posizione più vicine a quelle missine di un tempo di quanto faccia An. Anche sull'immigrazione, va detto senza ipocrisie, tra le posizioni leghiste e quelle del Msi degli ultimi anni Ottanta, la distanza è senza dubbio molto inferiore a quella che oggi le separa dalle scelte di Fini.

La Lega è una forza politica di destra, in grado cioè di colmare il presunto vuoto lasciato dalla fine del radicalismo post-missino?
Non è geneticamente di destra, ma il suo trasversalismo ha una forte radice populista in cui si incontrano e convivono molte suggestioni che alla destra radicale di oggi, ma anche a quella di ieri, non sono destinate a dispiacere. Si pensi all'enfasi posta sulle tematiche identitarie e comunitarie, all'ipernazionalismo – sia pure riferito a una nazione che non coincide con l'entità statale italiana –, a una certa vocazione a sostenere le rivendicazioni sociali degli strati più umili (purché “di casa nostra”), alla polemica contro il  cosmopolitismo, il potere finanziario, il parassitismo del ceto intellettuale, la globalizzazione: tutti temi che tradizionalmente negli ambienti neofascisti hanno suscitato vivaci consensi. Ovviamente la Lega a questi tratti culturali ne aggiunge altri che a una parte dell'elettorato ex missino non possono piacere, a partire da una certa rozzezza di stile comunicativo; ma la concorrenza che da quella parte può venire a chi in passato ha capitalizzato su quel pubblico non credo possa essere trascurata.

Il futuro del Pdl non è tutto rose e fiori. Si sono ormai strutturate “anime” diverse, proprio a partire dal tema politico del rapporto con la Lega. È possibile una convivenza duratura di questi differenti atteggiamenti politici?
Possibile, probabilmente sì. Certa, è un altro discorso. Di partiti pluri-identitari, come attualmente sono sia il Pdl sia il Pd, la storia politica europea non ne ha mai conosciuti. Non abbiamo quindi elementi empirici per valutare quale sia la loro capacità di resistere alla ruvida sfida delle cose, o di adattarvisi costruendo qualcosa di diverso dalle culture politiche in cui si sono formati i loro dirigenti, i loro quadri intermedi, i loro militanti e anche i loro elettori. Per esorcizzare questo dato di fatto si ricorre spesso ad azzardati paragoni con partiti di altri paesi, inventandosi il profilo ideale di sinistre e destre “nuove”. Sono giochi di equilibrio che compiacciono i simpatizzanti ma lasciano scettici gli studiosi. Le storie politiche di Francia, Gran Bretagna o Spagna sono diverse da quella italiana, e hanno prodotto tramite processi endogeni i loro attuali soggetti politici. Quel che accadrà da noi è tutto da scoprire.

[intervista tratta da Il Secolo d'Italia del 7 gennaio 2010]





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Data pubblicazione: 8 gennaio 2010

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