Il come eravamo dei giovani “fasci” degli anni di piombo [diorama.it]

DIORAMA

Mensile di attualità culturali e metapolitiche

diretto da Marco Tarchi


    Diorama è anche su Telegram

Logo Diorama Vintage

Il come eravamo dei giovani “fasci” degli anni di piombo

  La “rivoluzione”, se così si può definire, fu limitata al linguaggio ai simboli: Tolkien, gli elfi e la croce celtica al posto del Duce, ...

La “rivoluzione”, se così si può definire, fu limitata al linguaggio ai simboli: Tolkien, gli elfi e la croce celtica al posto del Duce, del fascio littorio e delle camicie nere, a riprova della scoperta di un paganesimo che prendeva le mosse dalle suggestioni evoliane già presenti in Ordine nuovo e che in quegli anni andava contagiando tutta la destra movimentista, come mostra il caso della runa Wolfsangel di Terza posizione. Si dicevano fascisti, ma guardavano a temi cari fino ad allora alla sinistra eretica (cui un pò facevano il verso), come il terzomondismo, l'ecologia o l'autodeterminazione dei popoli. Venivano dal Msi, ma ci stavano stretti, tanto poi da uscirne o essere marginalizzati. Gridavano “né Marx né Coca-cola, né banche né soviet”, parlavano di “metapolitica” e nel 1977, quello delle P38 nei cortei e degli Indiani metropolitani (che continuavano a chiamarli con sprezzo “topi di fogna”), ebbero la loro Parco Lambro di destra: il primo “campo Hobbit”, in onore degli eroi fantasy di Tolkien, con tanto di musica alternativa, dibattiti sulla questione giovanile e femminile, sulla musica pop e sul teatro d'avanguardia. A quella breve stagione, che fece intravedere la possibilità di portare il Movimento sociale oltre un becero nostalgismo neofascista, il politologo Marco Tarchi - che di quel laboratorio fu uno dei principali animatori - dedica il suo ultimo saggio, “La rivoluzione impossibile”. “Una rivoluzione impossibile - spiega al VELINO l'autore - perché non c'erano le premesse perché quel fermento avesse un seguito: la volontà del partito di non rinunciare alla redditizia nicchia composta dai fascisti non pentiti, la paura che il confronto con la sinistra scalfisse l'immagine anticomunista del partito e soprattutto un viscerale conservatorismo. E così il Msi continuò a restare inevitabilmente fuori del proprio tempo”.

La “rivoluzione”, se così si può definire, fu limitata al linguaggio ai simboli: Tolkien, gli elfi e la croce celtica al posto del Duce, del fascio littorio e delle camicie nere, a riprova della scoperta di un paganesimo che prendeva le mosse dalle suggestioni evoliane già presenti in Ordine nuovo e che in quegli anni andava contagiando tutta la destra movimentista, come mostra il caso della runa Wolfsangel di Terza posizione. Per tracciare il profilo di quell'esperienza, Tarchi ha ripreso in mano “Hobbit/Hobbit”, opera collettanea di inizio degli anni Ottanta, con l'obiettivo di limitarsi a commentarla, a 30 anni di distanza. “Poco alla volta ho capito però che non mi potevo limitare a introdurre una ristampa - aggiunge - ma era necessario ricostruirla, ampliarla e ripensarla”. È nato così il saggio che ricostruisce modo di pensare, agire, tic e ossessioni di quella prima generazione nata politicamente dopo il '68, che ha attraversato la prova degli anni di piombo. “Avevamo un linguaggio innovativo per la nostra epoca, adeguato al gergo periodo giovanile, ma riletto oggi ci sono tutte le tracce di un continuo conflitto con gli stereotipi e i tabu tipici del neofascismo - ammette Tarchi -. Volevamo mettere alla berlina l'ambiente missino, ma tutte le polemiche e i riferimenti erano introflessi, segnali in codice per ‘iniziatì che nessuno che non proviene da quel mondo oggi potrebbe più comprendere”.

Un ruolo decisivo per creare uno sbarramento attorno lo ebbe l'attuale presidente della Camera Gianfranco Fini, nominato appena due settimane prima a capo del Fronte della Gioventù. Un segretario imposto da Almirante, visto che nelle votazioni dell'Assemblea nazionale il delfino del leader era arrivato solo quinto. La diffidenza era tale che in occasione del primo campo, i vertici dell'organizzazione non parteciparono neppure e l'anno seguente (previa autorizzazione di Almirante), “decisero di alloggiare in un albergo distante dal campo - scrive Tarchi - lasciando i militanti a sperimentare le rigide temperature della tendopoli, suscitando la plateale reazione della base”. E fu così che qualcuno, forse per sobillare l'astio nei confronti del segretario giovanile, inventò lo slogan “Nelle tende ci dormono i cretini / Questo l'ha detto Gianfranco Fini”. Coro che si propagò per il campo “finché il servizio d'ordine, torce elettriche alla mano, perquisì il campeggio, tenda per tenda, alla ricerca degli eventuali intrusi fomentatori del disordine”.


[tratto da Il Velino]





Autore:
Foto:
Rivista:
Fonte: https://
Data pubblicazione: 29 marzo 2010

Designed by BootstrapMade - VAT IT-06451930967

Per iscriversi alla newsletter di Diorama:

25